Ho riposto nel piccolo baule chiodato la città della bellezza. Fangosa e danzante, colorata e ribelle. Ho risposto a me stesso nella metropoli della libertà. Della voluttà, della radicalità.
Ho riesposto te nella centrifuga dell’irraggiungibilità. Nella cerveza dorata di insostenibilità.
Mi sono ritagliato negli sguardi senza parole delle femmine s-cure. Innamorato della sporcizia anticapitalista di un bar catalano e della purezza nella ottusa fierezza. Delle gonnelline verdi che non valgono un soldo, del lurido, schifoso caffè e del vino troppo dolce, di 100 grammi di jamon pagato 8 euro e delle biciclette dallo stile ricurvo, goliardiche spie in marciapiedi infiniti. Mi sono invaghito delle sigarette che costano poco e degli artisti di strada, specialmente di quelli ridicoli, disarcionati, tristi di felicità.
Ho riposto in un piccolo baule chiodato, e ho ingoiato la chiave, un hola ricolmo di richiami. Nella stupida nostalgia di un piatto di pasta ben cucinato mi sono vergognato. Ho cercato la consuetudine di volti noti nei visi degli estranei e ho trovato estranei attorcigliati a secolari consuetudini. Ho assaporato la libertà di non essere compreso e la cura di chi non può capirti.
Ho insozzato la spensieratezza col rigurgito della tenerezza e sono scivolato in una vasca d’albergo insudiciandomi con l’insalubre acqua della comodità.
Ho ricercato in un viaggio l’essenza della permanenza e ho rivisitato il Museo della sradicatezza. Mi sono inabissato nell’arte imperitura dell’artista caduto sotto un tram, e ho avuto le vertigini nella cattedrale della bizzarria, della leggiadria, della malinconia.
Ho pitturato d’oro e di nero la variopinta città e nei crocicchi disperso, sotto i lampioni, ho cercato la Via.
Adios Barcelona.
Mi sono ritagliato negli sguardi senza parole delle femmine s-cure. Innamorato della sporcizia anticapitalista di un bar catalano e della purezza nella ottusa fierezza. Delle gonnelline verdi che non valgono un soldo, del lurido, schifoso caffè e del vino troppo dolce, di 100 grammi di jamon pagato 8 euro e delle biciclette dallo stile ricurvo, goliardiche spie in marciapiedi infiniti. Mi sono invaghito delle sigarette che costano poco e degli artisti di strada, specialmente di quelli ridicoli, disarcionati, tristi di felicità.
Ho riposto in un piccolo baule chiodato, e ho ingoiato la chiave, un hola ricolmo di richiami. Nella stupida nostalgia di un piatto di pasta ben cucinato mi sono vergognato. Ho cercato la consuetudine di volti noti nei visi degli estranei e ho trovato estranei attorcigliati a secolari consuetudini. Ho assaporato la libertà di non essere compreso e la cura di chi non può capirti.
Ho insozzato la spensieratezza col rigurgito della tenerezza e sono scivolato in una vasca d’albergo insudiciandomi con l’insalubre acqua della comodità.
Ho ricercato in un viaggio l’essenza della permanenza e ho rivisitato il Museo della sradicatezza. Mi sono inabissato nell’arte imperitura dell’artista caduto sotto un tram, e ho avuto le vertigini nella cattedrale della bizzarria, della leggiadria, della malinconia.
Ho pitturato d’oro e di nero la variopinta città e nei crocicchi disperso, sotto i lampioni, ho cercato la Via.
Adios Barcelona.
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