mercoledì 27 giugno 2007



Dune di metallo

Il rombo dell’acciaio annichilisce i ricordi. L’alluminio sferza l’emozione e il cuore è una scatola di latta. Tra le macchie di ruggine non si cela più il tuo volto e i sogni, nella schiuma oleosa, sono bolle di sapone senza sostanza. Il contatto con la pelle bagnata della mia compagna è un viscido scontro di frustrazioni, e i nervi non li sfiora neanche. Le parole delle canzoni ondeggiano lungo l’aria malata come foglie rinsecchite e cadenti. I glutei di chi mi porta i vassoi sono solo i glutei di chi mi porta i vassoi. Anche se un compassionevole sorriso è il sole in un deserto gelato.
Ricerco il mio cuore, ma l’acquavite mi conduce alla rabbia. Il mio torace appare vuoto allorché penso alla casa di un tempo. Il ritmico movimento delle mani, gonfie e tagliuzzate, è quello di un serpente a sonagli che incanta prima di colpire. Scivolare lungo il pavimento bagnato è l’inizio della trasformazione dall’umano al sub-umano. L’essenza dell’acciaio lungo le dita ferite risale fino al midollo dello spirito che si tinge di un grigio spettrale. Le dune di metallo e un sole di neon, il riflesso morente dei miei occhi, un ricordo che si allontana per salvarsi da solo, il sangue che si ferma prima del cuore e una speranza che si conserva per domani: cronaca odierna dal mondo delle pentole.

lunedì 25 giugno 2007


Esilio

E invece starò qui. A mordicchiarmi le unghie dell’anima. Cercando un alibi per non bagnarmi di fatalità stantia. Rincorrendo la parola e interrogandola circa il precipizio che di un solo passo mi precede. Segni come incantesimi che spalancano i portoni della santa e silenziosa Vacuità. Un foglio dove vedere solo bianco, dove pescare con l’inchiostro impronte che non siano poesia.
Non rincorrere nel bianco se non il bianco, mentre fugge il desiderio nel mondo che cancello.
Obliare la luce che non troverai e sorvolare con solide ali il muro che dall'Illusione divide. Bruciare di ghiaccio e assopirsi finalmente stremati ai piedi dell’altare del nulla definitivo.
E invece non uscirò, oggi. Me ne starò qui a cercare di non immaginare il domani e la luce.

domenica 24 giugno 2007


Musa malsana

La mia musa malsana: un sogno bizzarro che si manifesta alla fine della notte. Un paradiso d’artifici, un artificio paradisiaco. Il limbo prima dell’alba necessaria, dopo la fucina del dolce e terribile inganno notturno. Una terra di mezzo. Un confine che gorgoglia di labirinti illimitati.
Ma scrivo più della tua a-ssenza che della tua e-essenza. Della mancanza più che della pienezza, ri-cercando forse la pienezza della mancanza e descrivendo solo la mancanza della pienezza. Medusa e coincidenza degli opposti, granito e accozzaglia di contraddizioni. Santa inconsapevolmente sadica, sadica consapevolmente santa.
Malsana musa, che suscita ardori da lontano. Che addormenta e risveglia i miei sensi con crudele e ammaliante sagacia.
In quale nebbia ti ho scoperta. In quale scoperta mi hai annebbiato. Effige del mio essere nulla là dove fingo di essere qualcosa in te. Patetico e fatale sodalizio di rassegnazioni e tristezze. Accomodamento che non s’interroga sulla speranza. Stupidissimo inganno della libertà, mio tenero e selvatico fiore e libertà nell’inganno.